L’attacco ransomware a Poltronesofà: quando l’errore umano apre le porte ai criminali digitali

Security Awareness
22 Dicembre 2025
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Il 27 ottobre 2024, uno dei marchi più iconici dell’arredamento italiano si è svegliato in un incubo digitale. Oggi più che mai, la formazione del personale è l’arma più efficace contro il crimine informatico.

Il divano che ci ha accolto in salotto, la poltrona su cui ci siamo rilassati tante volte dopo una lunga giornata: Poltronesofà ha accompagnato la vita domestica di milioni di italiani. Eppure, la sera del 27 ottobre scorso, l’azienda ha vissuto un attacco che ha poco a che fare con imbottiture e tessuti, e molto con una realtà sempre più inquietante: il ransomware. Soggetti non identificati sono riusciti a penetrare nei server del gruppo, cifrando i file e paralizzando le macchine virtuali. Nel giro di poche ore, migliaia di dati personali dei clienti sono finiti nelle mani sbagliate.

La dinamica dell’attacco: un colpo preciso e devastante

L’attacco a Poltronesofà presenta tutte le caratteristiche tipiche di un ransomware moderno: veloce, coordinato e mirato. I cybercriminali hanno compromesso i server aziendali, crittografando i dati conservati e rendendo temporaneamente inaccessibili informazioni cruciali. L’azienda ha reagito tempestivamente, isolando i sistemi colpiti e attivando specialisti in cybersecurity, ma il danno, ormai, era fatto.

I dati potenzialmente sottratti includono nomi, cognomi, codici fiscali, indirizzi postali, email e numeri di telefono di migliaia di clienti. Fortunatamente, secondo quanto comunicato dall’azienda, non risultano coinvolti dati bancari o relativi a carte di credito. Una magra consolazione, considerando che le informazioni trafugate sono più che sufficienti per orchestrare sofisticate campagne di phishing mirate, truffe telefoniche e altre forme di ingegneria sociale.

Secondo le normative del GDPR, Poltronesofà ha dovuto informare tutti i clienti coinvolti entro tempi stretti, nel rispetto dell’obbligo di trasparenza previsto dall’articolo 34 del regolamento europeo. L’azienda ha inoltre segnalato l’incidente al Garante per la protezione dei dati personali, avviando tutte le procedure previste dal caso.

Il fattore umano: l’anello debole della catena di sicurezza

Sebbene le indagini tecniche siano ancora in corso e non sia ancora chiara la dinamica precisa che ha consentito ai criminali di accedere ai sistemi, gli esperti concordano su un punto fondamentale: dietro la stragrande maggioranza degli attacchi ransomware si nasconde un errore umano. Non serve una falla sofisticata nel codice o una vulnerabilità zero-day sconosciuta: basta un clic sbagliato.

Le statistiche parlano chiaro e sono impietose. Secondo i dati più recenti, il 95% degli incidenti di sicurezza informatica è dovuto al fattore umano. I dipendenti rappresentano il principale punto debole delle strategie di cybersecurity aziendali, spesso inconsapevoli dei rischi che corrono ogni giorno aprendo semplici email. Un altro dato allarmante: oltre l’80% dei cyberattacchi inizia con un’email di phishing, sfruttando la manipolazione psicologica per spingere le vittime a compiere azioni apparentemente innocue ma fatali per la sicurezza aziendale.

Gli attaccanti sono maestri di ingegneria sociale: creano messaggi che sembrano provenire da fonti affidabili, sfruttano l’urgenza, la paura o la curiosità per bypassare la razionalità del destinatario. Un allegato che sembra una fattura, un link che promette un’offerta esclusiva, una richiesta urgente da parte di un presunto superiore: sono tutte esche che quotidianamente inondano le caselle di posta aziendali. E troppo spesso funzionano.

L’Italia sotto assedio digitale: un Paese vulnerabile

Il caso Poltronesofà non è isolato, ma si inserisce in un contesto nazionale preoccupante. Secondo l’utimo Rapporto Clusit, il nostro Paese rappresenta oltre il 10% di tutti gli attacchi informatici globali, nonostante pesi solo per l’1,8% del PIL mondiale. Una sproporzione che rivela quanto il tessuto economico italiano sia vulnerabile e appetibile. Tanto che l’Italia, secondo i dati dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, si è classificata al nono posto nel mondo e al quarto posto nell’Unione Europea per il numero di rivendicazioni ransomware.

I settori più colpiti? Manufacturing, pubblica amministrazione, servizi finanziari e, sempre più frequentemente, il retail e i servizi.

Aziende che gestiscono grandi quantità di dati personali diventano bersagli ideali: non solo per il valore economico del riscatto, ma anche per la possibilità di rivendere informazioni sensibili nel dark web.

La formazione come scudo: investire sulle persone oltre che sulle tecnologie

Di fronte a questo scenario, la tecnologia da sola non basta. Firewall avanzati, sistemi di rilevamento delle intrusioni, autenticazione a più fattori: tutto questo è fondamentale, ma può essere vanificato da un singolo errore umano. La vera linea di difesa è costituita da dipendenti consapevoli, formati e preparati a riconoscere le minacce.

La formazione in cybersecurity non è più un’opzione, ma una necessità strategica.

Secondo gli esperti, una formazione mensile può ridurre gli errori umani del 70%.

Eppure i dati dimostrano che solo un terzo dei dipendenti italiani ha partecipato a corsi di formazione sulla sicurezza informatica nell’ultimo anno. Un gap che costa caro: ogni attacco ransomware comporta non solo danni economici diretti, ma anche interruzioni operative, perdita di reputazione e possibili sanzioni da parte del Garante della Privacy.

La cybersecurity, dunque, non è più solo un problema del reparto IT, ma una responsabilità condivisa da tutta l’organizzazione. Ogni dipendente, dal CEO all’ultimo arrivato, può essere il punto di accesso per un attacco devastante oppure l’eroe che lo previene con una semplice segnalazione. In questo scenario, la formazione non è un costo, ma l’investimento più strategico che un’azienda possa fare per proteggere il proprio futuro.

Investire nella formazione del personale significa costruire un "firewall umano" attorno all'organizzazione. Dipendenti consapevoli, preparati e vigili rappresentano il primo e più efficace livello di difesa contro il crimine informatico.

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